1968: anno nefasto
Per anni ci hanno venduto che il ’68 sia stato un anno di grandi riforme, in cui la società si era emancipata rendendo tutti più liberi e con più diritti.
Dopo 50 anni possiamo affermare che questo mito, oltre che falso, è stato deleterio, provocando danni irreparabili ai valori che avevano portato l’Italia tra i paesi più avanzati non solo economicamente.
In qualsiasi ambito, sociale, economico, civile e morale volessimo valutare l’impatto che ha avuto il ’68, possiamo affermare che ha distrutto le basi su cui era stata costruita la società italiana e le cui conseguenze sono davanti agli occhi di tutti. E credo che nessuno mi può smentire, salvo da chi è incubato nell’ideologia.
Qualcuno potrà sostenere che quella società non fosse perfetta, certo, ma almeno aveva dei principi, tra questi sicuramente il rispetto delle regole, la meritocrazia e, soprattutto, il senso del dovere.
Grazie ai “valori” del ’68, oggi, non c’è più rispetto delle regole e dei ruoli, princìpi distrutti dal sessantottini brandendo il totem dell’autoritarismo, fino ad arrivare a paventare, addirittura, il ritorno al fascismo.
Secondo questa concezione, le regole sono dei limiti imposti dal potere e non le basi del buon vivere civile e i ruoli sono delle forme di autorità che limitano l’espressione e non il rispetto dell’esperienza e delle istituzioni
L’istituzione più devastata dai postumi del ’68 è sicuramente la scuola, dove partendo dal feticcio del 6 politico ha reso piatto ogni interesse all’apprendimento, che associata alla distruzione della figura del docente e della sua autorità rende il percorso scolastico un atto dovuto e transitorio.
Oggi la maggior parte dei professori sono “figli” di quegli anni, ignavi e spesso ignoranti, che hanno paura ad affrontare le difficoltà facendo crescere degli studenti nella totale assenza di regole, dove il sacrificio non esiste, dove non si ha il coraggio di bocciare e quindi selezionare, educando i ragazzi al principio che nel vita, sia se ci si comparti bene che male, si ottiene tutti la stessa cosa.
Anche il concetto di equità fu tramutato in egualitarismo, ma che banalamente vuol significare livellare.
Livellando non si permette all’uomo di migliorare. La voglia di fare, di crescere, di apprendere viene annientata dal non riconoscerne i meriti.
Come affermava Luigi Einaudi bisogna garantire le basi di partenza, ma poi deve vincere la meritocrazia.
Si parla solo di diritti e non più di doveri. Come diceva il grande Massimo D’Azeglio (ma i sessantottini sanno chi è?) “fare il proprio dovere, il più delle volte fastidioso, volgare, ignorato, ci vuol forza di volontà e persuasione che il dovere si deve adempiere non perché diverte o frutta, ma perché è dovere”
La decadenza che oggi sta vivendo l’Italia, ma l’Europa in generale, è figlia della distruzione dei valori su cui è nata la società italiana dopo la guerra. Valori rimpiazzati dalla massificazione dei costumi
Il ’68:
- esaltò la rivendicazione di diritti dimenticando di ribadire l’assolvimento dei doveri,
- dispensò richieste di libertà senza assumersi le responsabilità,
- dissociò i risultati, in qualsiasi modo vengano ottenuti, dai meriti,
con il ’68 iniziò la decadenza dell’Italia.
Oggi tutto è dovuto, nessuno vuol più lottare per ottenere qualcosa, ciò in nome dei diritti.
Ma l’altra faccia della medaglia, vale a dire i doveri, ce ne siamo dimenticati?
E’ il dovere che spinger l’uomo ad essere migliore, a fare qualcosa per gli altri, ad essere d’esmpio, a stimolare chi ti è accanto.
Il dovere fa crescere la società.
Nel seguente video Marchionne riassume meglio di me le nefandezze del ’68
Ridiamo Dignità all’Italia