Oggi, si celebra la fine della Prima Guerra Mondiale, e umilmente ho la pretesa di pubblicare un post per commemorare l’evento, dedicandolo ad un protagonista dimenticato: il soldato.
Parto da una lettera scritta da un ufficiale italiano alla mamma:
“Mamma carissima, pochi minuti prima di andare all’assalto, ti invio il mio pensiero affettuosissimo, un fuoco infernale di artiglieria e di bombarde sconvolge nel momento in cui ti scrivo tutto il terreno intorno a noi. Non avevo mai visto tanta rovina. E’ terribile, sembra che tutto debba essere inghiottito da un’immensa fornace. Eppure col tuo aiuto, con l’aiuto di Dio da te fervidamente pregato, il mio animo è sereno. Farò il mio dovere fino all’ultimo.”
Ho scelto questa lettera tra le tante lettere, perché vi è una parola che, a mio avviso, contraddistinse il soldato della Grande Guerra: il dovere
L’Italia entrò nella Prima guerra mondiale da paese diviso, in cui la maggioranza dei cittadini non voleva. Fu il Re, il governo e una minoranza roboante a condurre il paese in guerra.
Gli italiani non erano abituati a combattere, l’Unità d’Italia era avvenuta da meno di cinquant’anni.
La maggioranza dei soldati era contadina, che non conosceva nemmeno le motivazioni del conflitto e neppure la geografia, mentre gli operai erano rimasti a casa, in quanto necessari all’industria bellica.
Partirono con la speranza e la convinzione che, indossando quell’uniforme, avessero già la riconoscenza del Paese.
Vissero 4 anni tremendi. Nel freddo.
La vita di trincea era fatta di stenti, di noia, di fame, di malattia, di morte.
In trincea si perdeva la cognizione del tempo, segnato solamente dalla luce e dal buio.
Ma la trincea rendeva tutti uguali.
I soldati vedevano i compagni cadere a uno a uno e sapevano che a breve, al prossimo attacco, poteva toccare a loro.
Però ad ogni chiamata degli ufficiali per preparare l’assalto, il soldato rispondeva presente.
Per il senso del dovere.
Spesso dovevano correre all’attacco calpestando i corpi di chi era caduto prima, tra le urla dei feriti e i colpi dell’artiglieria.
La trincea non distrusse il soldato, ma l’essere umano.
Ma queste terribili vicissitudini creavano un grande senso di fratellanza e di solidarietà tra i soldati semplici, che provavano paura ma anche, in alcuni casi, desiderio di dimostrare il proprio coraggio, rischiando la vita per soccorrere un loro compagno ferito.
Nonostante il regime ferreo e, quasi terroristico creato dagli ufficiali, il soldato della Prima guerra mondiale era sempre pronto.
Era il suo dovere.
Il paese, lontano dalle trincee, era ignaro delle sofferenze e delle privazioni dei soldati, e spesso il loro ritorno a casa durante le rare licenze veniva vissuto nell’indifferenza.
Lui combatté sempre, fino a Vittorio Veneto, per il senso del dovere.
Siamo qui, oggi, a ricordarli, ma siamo sempre troppo pochi.
I soldati della Prima Guerra Mondiale sono dimenticati per l’ignavia di tutti
Nessuna iniziativa: dallo stato, dalle scuole, dalle istituzioni
Dimenticati.
Gli eroi, non appartengono al nostro paese.
Non si parla più di soldati, perché, secondo un discutibile pacifismo ideologizzato, il soldato è sinonimo di guerra.
No. Signori.
Il soldato non è sinonimo di guerra
Il soldato crea il cittadino.
Il soldato crea il senso di appartenenza
Il soldato si sacrifica per gli altri
Il soldato è tale perché difende la patria, ovvero tutti noi.
Le grandi nazioni, con il più alto senso patriottico, hanno tutti avuto dei grandi eserciti e dei grandi soldati.
Il soldato svolge il suo compito per senso del dovere.
E’ questo il lascito dei soldati della Prima Guerra Mondiale, a noi italiani
Non ricordare i nostri soldati che sono morti per difendere l’Italia, anche se spesso non sapevano nemmeno il perché, è ucciderli due volte
E’ per questo che oggi noi italiani non sappiamo più difendere i nostri valori e le nostri tradizioni.
Non commemoriamo più i nostri caduti.
Li lasciamo nell’oblio più assoluto
Misera è la nazione che non ricorda i suoi caduti, perché non avrà futuro.
Viva i soldati
Viva l’Italia
Ridiamo Dignità all’Italia