Nell’ascoltare le esternazioni (e sono benevolo) di Toninelli sulle infrastrutture, ed in particolare sulla TAV, non ho potuto fare a meno di pensare, con nostalgia, a Camillo Benso conte di Cavour e di quanto sia stato un uomo moderno e a come la sensibilità, che egli ebbe verso l’economia e lo sviluppo, giovarono allo crescita del tessuto imprenditoriale.
Pertanto, in quest’articolo illustrerò alcuni aspetti della politica economica di Cavour, con la speranza che possa incuriosire come, a metà dell’Ottocento, uno statista come il Conte, “rispondesse” alle esigenze imprenditoriali.
Innanzitutto, bisogna subito chiarire che, prima di dedicarsi alla politica, Cavour fu un imprenditore. E potrei fermarmi qui.
Cavour, fu costretto in gioventù, per volontà paterna, ad intraprendere la carriera militare, che abbandonò quasi immediatamente, per dedicarsi ai viaggi in Europa in particolar modo Francia e Inghilterra, che egli reputava la più progredite dal punto di vista economico.
Ritornato a Torino, si dedicò alle aziende agricole della famiglia risanandole attraverso l’innovazione sia nelle tecniche di coltivazione e che nelle applicazioni dei concimi. Già nel 1842 promosse la costituzione dell’Associazione Agraria che si proponeva di promuovere le migliori tecniche e politiche agrarie, per mezzo anche di una Gazzetta.
Fu anche giornalista fondando un giornale che chiamò “Il Risorgimento”. Fu eletto deputato nel 1848, per poi diventare nel 1850 Ministro e nel 1852 Presidente del Consiglio, carica che mantenne quasi ininterrottamente fino alla sua morte il 6 giugno 1861, all’indomani dell’Unità d’Italia.
Nella sua attività di statista, si adoperò per la crescista economica del suo paese e per il suo inserimento nell’Europa. Era un fervente liberista: riteneva che qualsiasi legge che interferisse con la libertà degli individui di lavorare o di risparmiare o di possedere beni, rischiava di danneggiare la società.
Ma paradossalmente è stato definito anche “un keynesiano avant lettre”. Cavour ebbe una corretta percezione del rapporto tra ampliamento della domanda e stimolo alla crescita e la sua politica economica era effettivamente regolata da questa idea. Fu un “pioniere” nell’utilizzo del debito pubblico, che però servì per finanziare il cambio strutturale del paese.
Cavour “fu l’unico uomo veramente europeo del Risorgimento italiano”, grazie ai suoi viaggi giovanili per l’Europa che gli trasferirono il culto per il progresso e per le forme politiche, economiche e culturali proprie di quel tempo.
L’attenzione di Cavour verso il progresso fu esercitata quasi come un fede, in quanto lui associava il progresso alla libertà, intesa quest’ultima soprattutto come liberazione di forze e di energie positive. Questo convincimento guidò Cavour durante tutta la sua carriera politica, non ne derogò mai e ne fece guida delle sue scelte economiche.
La percezione di modernità per Cavour era misurata dalla distanza tra l’Italia e “l’Europa in marcia” come lui definiva. Egli percepì che il principale divario era costituito dalle prospettive e dai valori, e prese come modelli la liberale Inghilterra e la progressista Francia (la Germania in quel tempo era ancora frammentata in piccoli stati).
Ma concentrandoci sugli aspetti economici: si deve sottolineare come la sua concezione liberistica contraddistinse le sue azioni di governo volte a supportare l’economia nazionale con strumenti di finanziamento, di comunicazione e di formazione di tecnici e manodopera
Intuì che per ridurre la distanza con l’Europa si dovevano eliminare i vincoli protezionistici e potenziare le infrastrutture.
Cavour affermava che l’eliminazione dei dazi doganali avrebbe portato le imprese a migliorarsi e ad innovarsi, pungolate dalla concorrenza, ma nello stesso tempo si sarebbero aperti nuovi mercati a cui poter vendere i propri prodotti, oltre ad entrare in contatto con nuove realtà con cui poter avere un scambio culturale e tecnologico. Stipulò degli importanti trattati commerciali bilaterali con l’Inghilterra e la Francia.
Per aiutare le imprese a migliorare la loro competitività e ad arrivare più facilmente su nuovi mercati, era necessario creare delle infrastrutture, in particolar modo delle nuove vie di comunicazione più veloci e sicure.
Fedele al suo “credo verso il progresso”, egli vedeva nella locomotiva il suo simbolo, e le attribuiva la capacità di unire sia fisicamente che culturalmente l’Italia intera e l’Italia con l’Europa.
In un articolo da lui scritto, comparso il 1 maggio 1846 intitolato Les chemin de fer en Italie, Cavour illustrò come lo sviluppo ferroviario in Italia avrebbe consentito sia il raggiungimento dell’indipendenza (aspetto politico) sia del progresso (aspetto economico), unendo e aprendo i mercati.
Riporto un brano che rende esplicito il pensiero cavouriano:” “La macchina a vapore è una scoperta che non si saprebbe confrontare, per la grandezza delle sue conseguenze, che a quella della stampa o meglio ancora a quella del continente americano. L’influenza delle ferrovie si estenderà su tutto l’universo. Nei paesi giunti ad un alto grado di civiltà, esse daranno all’industria una spinta immensa; i loro risultati economici saranno fin dall’inizio magnifici e accelereranno il movimento del progresso della società. Ma gli effetti morali che ne devono risultare, ancora maggiori ai nostri occhi dei loro effetti materiali, saranno soprattutto notevoli nelle nazioni che, nel cammino ascendente dei popoli moderni, si trovano in ritardo. Per esse le ferrovie saranno più di un mezzo per arricchirsi; saranno un’arma potente, con l’aiuto della quale esse giungeranno a trionfare delle forze ritardatrici, che le mantengono in una condizione funesta di infanzia industriale e politica”.
Quindi Cavour considerava l’espansione e l’ammodernamento delle vie di comunicazione come mezzo, non solo economico, ma anche sociale in grado di unire l’Italia e proiettarla verso l’Europa, infatti proseguiva: “Al punto in cui sono arrivate le cose, è possibile determinare, se non con precisa esattezza per lo meno approssimativamente, quale sarà il tracciato della grande rete ferroviaria destinata, tra alcuni anni, a collegare tutte le località d’Italia, dai piedi delle Alpi sino al golfo di Taranto. Perché se ne possa cogliere l’insieme, tracceremo un rapido schizzo delle linee principali che dovranno farne parte. Questo quadro sarà sufficiente a dare un’idea della sua immensa importanza. .[…]
Nell’arco di pochi anni, il bacino del Po sarà attraversato in ogni senso da un ampio sistema di strade ferrate, che collegherà tutti i principali punti del paese e che, a protendendosi verso la Francia attraverso la Savoia e verso la Germania attraverso Trieste, metterà l’Italia in costante comunicazione con il continente europeo. Questo sistema si allaccerà, attraverso una o due linee, alla rete toscana, destinata, come abbiamo visto, ad ampliarsi notevolmente. Infine nel regno di Napoli un sistema completo, disposto a raggiera intorno alla capitale, farà circolare il vapore da un mare all’altro e, protendendosi sino a Taranto o a Otranto, stenderà la mano all’oriente.”
Cavour, immaginava l’Italia anche come ponte per l’Europa. Questa era la sua visione: lo Stato doveva creare i presupposti per liberare le forze imprenditoriali attraverso le opere.
Lo sviluppo delle ferrovie e delle sue prospettive economiche provocò una corsa agli investimenti sia di natura pubblica che privata (una specie di project financing ante litteram).
Nel Piemonte nel 1849 erano presenti 57 km di ferrovie, mentre a fine 1859 i km erano diventati 850 ben più di tutti gli altri stati italiani messi insieme. Di queste rete: 276 km erano dello Stato, 170 km della società “Vittorio Emanuele” e 404 km di altri 12 società minori per investimenti pari a 175.570.000 di lire. Per dar senso a questi numeri si pensi che il totale delle entrate statali non giungeva a 110.000.000 di lire!
Le ferrovie non ebbero effetti positivi solo sul commercio, ma servì da stimolo all’industria: pose le basi per quella chimica, tra cui quella della carta e fece sviluppare la siderurgia e quella meccanica, grazie alle commesse per le ferrovie, l’esercito e la marina (il quel periodo fu fondata l’Ansaldo che già nel 1858 contava 500 operai). Non ultima l’industria tessile che raddoppiò la produzione, in particolare quella serica che era la più importante per volumi e numero di addetti.
La bilancia commerciale passò da un sostanziale pareggio del 1850 ad un saldo positivo di 85.000.000 di lire nel 1858.
Ma il Conte non si limitò solo alle ferrovie. Nel 1857 avviò le opere per il traforo del Frejus con l’obiettivo di agevolare i commerci con la Francia, fu potenziato il porto di Genova, fu creato l’arsenale militare marittimo di La Spezia, si realizzarono una serie di canali destinati all’irrigazione e alla navigazione, tra cui bisogna ricordare quello che attraversa le zone risicole del Novarese che porta tuttora il suo nome: canale Cavour.
Inoltre, fu consapevole che, aprire il paese alla concorrenza internazionale senza dotarlo di un sistema creditizio moderno capace di sostenere le imprese, era pericoloso. Quindi creò la Banca Nazionale (cardine della futura Banca d’Italia) e la Cassa Depositi e Prestiti per mobilitare il risparmio al fine di finanziare lo sviluppo. Specialmente la prima rappresentò il braccio finanziario delle sua iniziativa politica diretta a stimolare e modernizzare l’economia. Questo provocò un spinta produttiva notevole, sebbene a scapito di uno squilibrio di bilancio.
Cavour riassunse il suo programma in un discorso di cui riporto uno stralcio: “Noi abbiamo adottato una politica di azione, una politica di progresso; … invece di restringerci e di rinunciare a qualunque idea di miglioramento, a qualunque grande impresa, invece di cercare con ogni maniera di economie di pareggiare le entrate colle spese, indi abbiamo preferito di promuovere tutte le opere di pubblica utilità, di sviluppare tutti gli elementi di progresso che possiede il nostro stato, di svegliare in tutte le parti del paese tutta l’attività industriale ed economica di cui sia suscettibile”.
Infine, risolvere ciò che lui definiva “il problema della conoscenza” fu un altro fondamento della sua politica economica. Riteneva, infatti, che accrescere l’istruzione tecnica e scientifica fosse un fattore cruciale per l’industrializzazione.
Si adoperò affinché si creassero istituti, soprattutto tecnici, che portassero le competenze necessarie per alimentare l’innovazione e rendere le imprese più competitive e per la formazione di una classe dirigente.
Un significativo passo per la realizzazione di questo progetto fu espresso nel quadro delle legge Casati del 1859 per la riforma della scuola. Furono create molte scuole tecniche riguardanti la sperimentazione agricola (realizzate grazie all’intervento diretto del governo e alla collaborazione di altri enti tra cui l’Associazione agraria, anche perché all’epoca l’agricoltura rappresentava l’86% del PIL) e la diffusione dei ritrovati della tecnologia e della chimica applicata. In questo ambito fu istituita la Scuola di applicazione degli ingegneri che sarebbe diventata nel 1906 il Politecnico di Torino.
Cavour è da tutti ricordato soprattutto come uomo politico e come uno degli artefici dell’Unità d’Italia e del Risorgimento, ma egli asseriva che non ci può essere risorgimento politico senza risorgimento economico.